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Cosa sente e cosa ascolta il bambino nella pancia della mamma?

A cura della Dott.ssa Basoli Mariamaddalena, logopedista


“In principio era il suono, e il suono era presso la madre, e il suono era la madre”. Con questa frase dello psicanalista Franco Fornari apriamo la porta della percezione uditiva del feto e del neonato ed entriamo in un mondo nuovo, il mondo dell’inizio. Per almeno un terzo della gravidanza l’essere umano vive immerso in un ambiente sonoro; come un cieco, il feto vive ciò che sente, e la sua esistenza è completamente contenuta in un liquido che parla. Questa continua stimolazione uditiva e questo costante esercizio d’ascolto producono una veloce maturazione dell’udito, così che alla nascita questo appare come l’unico organo già completamente mielinizzato.

L’utero è un luogo sonoro nel quale progressivamente il feto matura le capacità di udire, di interagire e di rispondere. Potremmo definirla “protocomunicazione”, per me è già comunicazione!

Lo sviluppo dell’apparato uditivo procede dal 2° al 5° mese, al 6° mese è completo, quindi l’utero è luogo di rumori provenienti dall’esterno e dall’interno e ha la funzione di cassa di risonanza: dal 6° mese il feto è in grado di sentire!

Vorrei sottolineare che, in realtà, il primo organo di senso che si sviluppa nella vita intrauterina è quello tattile, alla 32° settimana di gestazione, la percezione sensoriale tattile è completa, ed il feto può sentire le carezze di mamma e papà.

La stimolazione di questi due sensi sembra essere molto importante in quanto “la stimolazione uditiva e tattile del feto determina un aumento delle sinapsi” (cit. M. Micelli)

Evidenze scientifiche hanno capovolto l’antica concezione statica secondo cui il feto non fosse in grado di utilizzare gli organi di senso, era considerato un essere psichicamente indifferenziato, impossibilitato a vivere proprie esperienze sensoriali. Gli organi di senso potevano agire solo dopo la nascita. Ora invece è accertata una concezione dinamica secondo cui la vita intrauterina sia un mondo alquanto fertile di esperienze e possibilità sensoriali.

Ma torniamo al nostro udito.


Cosa sente, anzi cosa ascolta il bambino nella pancia?

Come ricorda Fornari, il feto ascolta soprattutto la madre che per lui è il suono, e ne fa esperienza diretta. È stato molto enfatizzato il rumore del battito cardiaco, ma questo essendo un rumore ‘bianco’ (cioè costante e sempre uguale) probabilmente è percepito nel momento in cui sparisce , quindi subito dopo la nascita; concordo con gli esperti sul fatto che è sicuramente più interessante il rumore del respiro materno, più variabile e ritmico, simile alla risacca sulla spiaggia; ma la sinfonia è creata da più strumenti: dai suoni degli organi addominali connessi alle numerose funzioni materne, quali l’ alimentazione, la digestione, l’evacuazione (nelle ultime settimane la testa del feto è separata dalla vescica e dall’ampolla rettale materne soltanto dalla sottile parete dell’utero). Su questo multiforme scenario sonoro si inserisce il più importante strumento: la voce della mamma.

Questo lo definirei, forse impropriamente, stimolo endogeno, ovvero proviene al feto direttamente dall’interno, propagandosi attraverso gli organi, in particolare l’apparato scheletrico; dalla laringe la voce scende lungo la colonna vertebrale e giunge al bacino che funge da cassa di risonanza. Anche il movimento del diaframma, direttamente collegato con l’emissione del suono soprattutto durante il canto, è in grado di produrre variazioni pressorie addominali percepibili dal feto.

Già nel grembo materno il bimbo conosce e riconosce la voce materna; in particolare diventano familiari gli aspetti prosodici della voce (altezza tonale, timbro, intensità) e la durata dei suoni emessi. Quindi non è tanto la singola parola a caratterizzare il significato di una frase, ma la musica del linguaggio. Sono il tono e la melodia a stimolare il bambino e a coinvolgerlo, perché per lui questa voce è prima di tutto musica e ritmo. Il ritmo vocale può tranquillizzarlo o eccitarlo, rassicurarlo o preoccuparlo; attraverso il suono il feto può riconoscere i sentimenti della madre ed entrare in sintonia con lei. “L’ascolto e la conoscenza di questa voce sono per lui un’esperienza globale e profonda, in grado di coinvolgere tutti gli altri sensi e rendere attiva la sua mente in formazione”. (cit. Fornari).

Quindi, già durante la gravidanza e in epoca peri e post natale, la voce, il canto e la musica favoriscono una comunicazione, una diade fra madre e bambino. La particolare modalità di esprimersi in “motherese” o baby-talk è un importante attivatore nel neonato, di specifiche zone cerebrali normalmente coinvolte alla regolazione delle emozioni. Gli studi di neuroscienze stanno dimostrando che il suono, vocale o strumentale, riveste una importante carica per lo sviluppo neurologico. La componente prosodica della voce materna (cioè la parte ritmica e melodica come detto più sopra) va considerata come una vera e propria forma di contatto emozionale, un “abbraccio non corporeo”. La voce e la musica sono un potente attivatore in grado di fornire sia piacere che stimolo per la grande plasticità cerebrale del nascituro.

Numerosi studi avvalorano la capacità del feto di riconoscere non solo un brano musicale, ma anche un testo letto ad alta voce dopo un ascolto ripetuto nell’ultimo trimestre di gravidanza, comprovato anche con utilizzo di favole e di filastrocche (Hepper PG 1988- 1994).

Altre Evidence based confermano che zone cerebrali diverse vengono attivate: la lettura di un testo in motherese è in grado di stimolare nel neonato specifiche zone cerebrali, quelle interessate alla regolazione delle emozioni, rispetto lo stesso testo, letto dalla medesima persona, con voce ordinaria! (Saito Y.2007). La “musicalità” della voce materna è quindi uno stimolo primario per il feto e per il neonato, e le mamme, inconsapevolmente, saziano questo bisogno. É meraviglioso come, da un linguaggio musicale-sonoro primordiale, man mano che prosegue lo sviluppo cerebrale, nasce il linguaggio simbolico, che permette alla nostra specie di differenziarsi dalle altre specie, consentendo così una comunicazione affinata [1] ed un pensiero astratto.

Mentre la ricerca prosegue e definirà ulteriormente l’importanza dei neuroni mirror (neuroni specchio deputati all’apprendimento attraverso l’imitazione) e dei neuroni specchio verbali (echo neurons deputati alla imitazione dei suoni verbali e alla comprensione del significato) [2]e la loro ontogenesi, dobbiamo continuare a fare ciò che da migliaia di anni fanno le madri con i loro cuccioli: parlare, cantare, ninnare.

A questo punto, cos’è il motherese o baby-talk?

É il tipo di linguaggio che le madri utilizzano spontaneamente in molte culture per rivolgersi ai figli piccoli, come a qualsiasi altro piccolo. É caratterizzato da toni più alti, vocali allungate, un ritmo più lento, pause lunghe, ripetizioni, sottolineature ed accentuazioni marcate. Le frasi sono più brevi, con una grammatica semplice e lineare rispetto alla comunicazione fra adulti. Il lessico è limitato e legato alla concretezza, ricco di vocaboli affettivi ed onomatopeici. Nel motherese il contenuto profondo del messaggio non è rappresentato dal codice verbale, ma dalla melodia stessa. É una modalità comunicativa che veicola sentimenti ed intenzioni di chi parla, oserei dire ancestrale.

Come si trasmettono i suoni e la voce materna nel liquido amniotico? Nel liquido amniotico l’orecchio esterno e l’orecchio medio hanno una limitata funzione uditiva e lo stimolo acustico arriva direttamente alla coclea. Sia l’udito che l’olfatto hanno una percezione di natura liquida e non aerea (Tomatìs, 2007). I suoni vengono filtrati dal liquido amniotico che li trasforma in vibrazione, attuando un effetto “filtro” sui suoni acuti, mantenendo quasi inalterati i suoni gravi (< 500Hz). La voce materna, essendo prodotta internamente, è l’unica voce di cui il bimbo riesce a percepire i toni acuti, mentre le voci femminili esterne vengono trasformate in suoni più gravi. Ne consegue che il feto dà una risposta comportamentale specifica e selettiva, ovvero dimostra maggior interesse per le basse frequenze esterne. Ad un concerto apprezzerebbe di più il violoncello e il contrabbasso rispetto ai violini e ai flauti. I suoni e le voci esterne vengono percepiti in forma attenuata, compresa la voce del papà: è il corpo materno che garantisce la loro trasmissione al feto svolgendo una azione di connessione tra il mondo esterno e il bambino. La voce della madre è la più riconoscibile e distinguibile, ma anche la voce del padre è uno stimolo importante e viene riconosciuta come voce esterna, frequentemente udita e con una sonorità più grave e un timbro più caldo rispetto a quella della mamma. La voce del padre ha un notevole potere tranquillizzante sul feto.

Degna di nota è anche la capacità del feto, dopo la 33° settimana di gestazione, non solo di riconoscere la voce della madre nel panorama delle voci femminili, ma anche di riconoscere la propria lingua madre da altri idiomi.

Da quanto fin qui di detto, si può pensare che lo stimolo uditivo sia al contempo uno stimolo tattile, la mamma attraverso la sua voce culla e massaggia il piccolo, e si torna al concetto importante delle ninnenanne, che sono vere e proprie forme di “cullamento” vocale, selezionate nel corso di migliaia di anni. Primitive abilità genitoriali, che, con buona probabilità, sono vantaggiose anche dal punto di vista evolutivo, infatti sono simili in tutte le lingue del mondo. Non a caso le ninnananne e le filastrocche hanno un lessico molto semplice, ripetitivo, sono ricche di onomatopee e la struttura di parola è prevalentemente di tipo CONSONANTE-VOCALE, basti pensare alla famosa “ninna nanna ninna o questo bimbo a chi lo dò” o a “batti batti le manine che arriverà papà”.

E la stessa struttura C-V (consonante vocale) la ritroviamo nello sviluppo fisiologico del linguaggio, nel babbling canonico, nel babbling variegato e nelle prime parole con valore referenziale.

Concludo citando le parole di Franco Fornari

“Verrà un giorno in cui la voce si trasformerà in linguaggio, la parola in pensiero e il pensiero in conoscenza, ma la voce della mamma udita all’inizio del tempo rimarrà dentro nel profondo fino alla fine del tempo”.


Note:

[1] Per affinata intendo, tra le altre cose, “economica” nel senso che permette di comporre una quantità molto elevata di enunciati a partire da un numero relativamente piccolo di unità minime. In tutte le lingue, infatti, sono sufficienti una trentina di fonemi (in italiano ad esempio ne bastano ventotto) perché "con il loro raggrupparsi e ordinarsi" in svariate combinazioni si riesca a individuare e differenziare un numero enorme di parole (cfr. T. De Mauro, Prima lezione sul linguaggio, p. 55).

[2] Il sistema dei neuroni specchio è più antico, ha una semantica legata all’azione (gesto). Il sistema echo invece è più recente e ha una semantica legata al suono (parola). (Giusti, Militello, 2010)


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Dottssa Basoli _ Cosa sente e cosa ascol
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